Nelle prime ore del 15 gennaio 1944, il comandante della Legione dei Carabinieri di Genova mi ordinava per telefono, di recarmi con un plotone di 20 carabinieri al Forte S. Martino, per eseguire un urgente servizio d’ordine pubblico. (…) dopo aver atteso per circa un’ora, e mentre mi accingevo a rientrare in caserma, vidi arrivare, con alcune macchine, un folto gruppo di ufficiali tedeschi e fascisti che accompagnavano otto persone in ceppi. Nel frattempo venivo chiamato da un colonnello della milizia fascista in divisa, il quale qualificandosi per il Console Grimaldi, questore di Genova, mi ordinava di procedere all’esecuzione immediata mediante fucilazione di Otto “traditori” che il tribunale fascista aveva condannato a morte durante la notte per vendicare un attentato in Genova del giorno innanzi in cui era stato ucciso un ufficiale tedesco. A tale ordine opponevo un secco rifiuto, insistendo sulla illegittimità sia di chi me lo impartiva, sia del Tribunale che lo aveva emesso. Nonostante l’intervento di altri ufficiali fascisti e tedeschi, che mi minacciavano di processo sommario e di fucilazione sul posto, insieme agli altri condannati, mantenni fermo il mio atteggiamento di rifiuto; tanto che il Grimaldi dopo avermi insultato di codardia, per mezzo di due tedeschi delle SS mi fece allontanare dai miei uomini e sospingere in una casamatta. Dalle feritoie della stessa, potetti osservare quello che avvenne dopo: il Grimaldi fece schierare di spalle al muro nel cortile del forte gli otto condannati e ordinò lui stesso ai carabinieri di fare fuoco, ma a tutti i militari rivolsero palesemente le armi in alto, tanto che uno dei giustiziandi, il prof. Bellucci, ebbe a dire ad alta voce: “ragazzi fate presto, mirate dritto al cuore. Se non mi uccidete voi mi uccideranno gli altri”. A questo punto il Grimaldi radunò gli altri militari tedeschi e fascisti presenti e procedette lui stesso all’esecuzione; fece disporre i condannati di fronte a due alla volta, costringendoli a salire sui corpi dei compagni caduti mentre ancora si dibattevano per terra in agonia. Il massacro veniva completato con il colpo di grazia pietosamente esploso per ognuno dei moribondi da un ufficiale medico presente. Ad esecuzione avvenuta, tedeschi e fascisti lasciavano immediatamente la località, allontanandosi con gli stessi mezzi con i quali erano venuti. Uscivo allora dalla casamatta, disponevo il piantonamento dei patrioti caduti e con il resto dei carabinieri, rientravo in caserma. Per intervento del Prefetto Basile venni messo agli arresti e allontanato da Genova. Successivamente fui sottoposto ad inchiesta formale ed infine arrestato dal comando della Feld Gendarmeria tedesca di Albenga dal quale fui trattenuto in prigione fino alla liberazione, subendo a mia volta torture e sevizie.
Lunedì 15 gennaio, alle ore 10.30, la cerimonia di Commemorazione del 74° anniversario dell’Eccidio di San Martino.
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